24 ottobre 2004

Se questo è un blogger

da www.unita.it

22.10.2004
Iran, il bavaglio all'informazione su Internet
di Paola Zanca

L'operazione “Shaare” è cominciata. La sfida lanciata dall'Iran alla libertà d'informazione sul web ha già fatto i primi passi. Cinque “cyber”giornalisti sono rinchiusi nelle carceri iraniane, senza che di loro si abbia alcuna notizia. Reporter sans frontières lancia un appello ai media internazionali affinchè si mobilitino per la liberazione dei cinque bloggers. Sono già numerose le redazioni on line che hanno risposto alla chiamata dell'associazione di difesa della libertà di stampa nel mondo.

In Iran, aria di censura si era già fiutata nei mesi scorsi, quando alcuni siti riformisti erano stati bloccati dalle autorità giudiziarie. Il progetto “Shaare” vorrebbe infatti arrivare alla creazione di un Intra-Net iraniano, una rete cioè di soli siti iraniani controllati dagli ayatollah. Un'ipotesi inaudita - dicono a Reporter sans frontières - e che comunque è assolutamente contraria al principio di libera circolazione delle idee su cui Internet è nato. Dopo i giornali, la radio e la tv, un bavaglio anche alla Rete, l'unica fonte di informazione rimasta indipendente.

Prima i filtri e i monitoraggi del web, poi l'Iran è passato alle maniere dure, bloccando definitivamente alcuni siti progressisti come Emrooz, Rooydad e Baamdad. La colpa dei cinque giornalisti arrestati, secondo la magistratura iraniana, è quella di aver scritto su pagine web accusate di osteggiare la Repubblica Islamica. La censura ha avuto un'escalation preoccupante tanto che, tra il 7 settembre scorso e il 18 ottobre, Javad Gholam Tamayomi, Omid Memarian, Shahram Rafihzadeh, Hanif Mazroi e Rozbeh Mir Ebrahimi sono stati portati via in manette. In carcere.

Il tutto, nella totale mancanza di rispetto dei diritti umani: le famiglie non possono avere nessun contatto con i detenuti, non sanno nemmeno dove si trovino, si presume soltanto che siano reclusi nella sezione speciale del carcere di Evine.

Un dato certamente non confortante. La prigione iraniana è tristemente nota, non solo per i molti prigionieri politici che vi sono stati rinchiusi e uccisi prima ai tempi dello Scià e poi sotto il regime islamico, ma anche perchè non più tardi di un anno fa fu teatro dell'uccisione della fotoreporter iraniano-canadese Zahra Kazemi. Il 10 luglio 2003, quarto anniversario dalla strage degli studenti-manifestanti del 1999, cortei e sit-in avevano svegliato Teheran. La risposta della polizia iraniana non fu molto diversa da quella di quattro anni prima. Moltissimi studenti furono arrestati e sottoposti a violenze, molti persero la vita. La giornalista fu braccata dalla polizia mentre fotografava le famiglie dei ragazzi fuori dal carcere di Evine. Il suo destino fu tragicamente segnato, il padre la ritrovò in coma in un ospedale di Teheran dopo giorni e giorni di ricerche. Picchiata a morte.

Cosa ne sia stato dei cinque giornalisti on line non si sa. Ai reporter prigionieri è stato negato anche il diritto ad un avvocato. Le parole del fratello di Shahram Rafihzadeh rilasciate a Reporter sans Frontières, non lasciano dubbi: «Dopo l'arresto, non abbiamo avuto più nessuna informazione né su lui né sulle indagini». Il padre di Hanif Mazroi racconta di aver inviato numerose lettere al capo del sistema giudiziario, l'ayatollah Shahroudi. Ma nessuna risposta è mai arrivata. La moglie di Rozbeh Mir Ebrahimi ha rilasciato una testimonianza in cui afferma che le persone che hanno prelevato il marito da casa non avevano nessun mandato d'arresto. Violazioni delle garanzie minime, che più parti hanno denunciato, compreso l'Osservatorio per i diritti umani (Human Rights Watch, in sigla Hrw).

La particolare predilezione dell'Iran per l'arresto di giornalisti (tra i paesi mediorientali è quello con le carceri più affollate di reporter) viene spiegata dagli analisti come l'esatta conseguenza dello spostamento a destra del parlamento iraniano. I sette anni di apertura alle libertà e alla democrazia del presidente Khatami, sembrano deludere le aspettative dell'inizio e avviarsi verso un'amara conclusione. L'ala conservatrice sta preparando il terreno per riprendersi il potere nelle prossime elezioni del 2005. La coabitazione tra i riformisti del presidente Khatami e il clero ultraconservatore guidato dall'ayatollah Khamenei negli ultimi tempi si è parecchio inasprita: Khamenei e i suoi non hanno visto di buon occhio le aperture libertarie di Khatami, la cui presidenza (fu eletto nel '97) ha visto il fiorire di decine di giornali, ha modernizzato i costumi e ha imposto all'Iran una svolta pluralista. L'ala ultraconservatrice del parlamento già nel 1999 riuscì a far passare una legge di limitazione della libertà di stampa. Le manifestazioni di protesta degli studenti a Teheran furono il più grande fenomeno di contestazione al regime ma vennero represse con feroce violenza, centinaia di studenti furono uccisi.

Allora fu comunque un'élite a ribellarsi. Oggi è la maggioranza dei giovani iraniani a sopportare a fatica le regole di vita imposte dalla Rivoluzione islamica del 1979. Il 70% della popolazione ha meno di 30 anni e il 60% meno di 25. Non tutti hanno la forza, il coraggio, di contestare apertamente il regime e i suoi divieti. Ma proprio Internet aveva offerto a tutti - ai ragazzi e anche e di più alle ragazze - una scappatoia, un rifugio, una possibilità di incontro e di scambio di opinioni, impressioni, racconti. Si stimano tra i 10 mila e i 15 mila gli scrittori “on line”, per lo più bloggers che si scambiano opinoni e commenti su siti d'informazione indipendenti. Ma il cappio della polizia iraniana non lascia ora molto spazio a chi vuole comunicare liberamente. Le storie di questi cinque giornalisti insegnano parecchio.

Omid Memarian viene arrestato il 10 ottobre 2004 per aver pubblicato articoli su diversi siti favorevoli a una riforma del regime degli ayatollah. Il giornalista è una figura molto nota in Iran per la sua collaborazione attiva in molte organizzazioni non governative. La sua casa di Teheran viene perquisita, la polizia sequestra molti documenti, oltre al computer personale di Memarian. Segnali di inquietudine erano già arrivati a Omid nei giorni precedenti all'arresto: il tentativo di raggiungere New York per partecipare ad un convegno sulla società civile iraniana, era stato bloccato all'aeroporto di Francoforte perchè il suo nome compariva in una lista nera di persone con divieto di imbarco. Nessuna altra spiegazione sui motivi del blocco era stata fornita dalle autorità.

Shahram Rafihzadeh, capo della sezione culturale del quotidiano riformista Etemad viene prelevato dalla redazione del giornale il 7 settembre, apparentemente da uomini di un ramo della polizia iraniana vicino ai servizi segreti, i non meglio identificati agenti dei “costumi morali”.

Hanif Mazroi, anziano giornalista collaboratore di diverse testate riformiste, si presenta davanti ai giudici dopo aver ricevuto una richiesta di comparizione. Viene arrestato il giorno stesso, l'8 settembre.

Stessa sorte per Javad Gholam Tamayomi, ultimo incarcerato in ordine di tempo, il 18 ottobre scorso. Lavorava per il quotidiano Mardomsalari, “Democrazia” in italiano. Gli arriva un mandato di comparizione, va in Tribunale e viene arrestato.

Rozbeh Mir Ebrahimi, editore di Etemad, lo stesso giornale per cui lavorava Shahram Rafihzadeh, riceve una visita a casa. Sono gli agenti della "buoncostume" del regime che bussano alla porta e lo portano in carcere. È il 27 settembre 2004.

Reporter sans frontières ha ricostruito almeno in parte quello che è avvenuto prima degli arresti. I nomi di alcuni dei giornalisti detenuti erano già comparsi in una lista pubblicata sul quotidiano nazionale - filo Kamenei - Kayhan, in cui si parlava di una presunta “rete nemica”, ordita dagli esuli iraniani accusati di collaborare con i servizi segreti americani. Il direttore della testata, Hossin Shariatmadry, in precedenza lavorava per il carcere iraniano di Evine, con le precise mansioni: interrogare e torturare i prigionieri politici. L'incarico di direttore del giornale degli ayatollah più oltranzisti gli è stato poi affidato dallo stesso Khamenei in persona. Alle delazioni pubblicate dal quotidiano, è prontamente seguita l'offensiva giudiziaria.

Per tutti e cinque, l'accusa è di propaganda contro il regime, minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alla ribellione e oltraggio alle autorità del Paese. Il portavoce del ministro della Giustizia, Jamal Karamirad, ha dichiarato che presto i cinque detenuti saranno sottoposti a processo, senza però specificarne i tempi. Un deputato riformista, ha fatto sapere che sono circa 20 le persone, non solo giornalisti, che sono state arrestate nel corso della “battaglia contro l'uso di Internet per soverchiare il regime”. A pochi mesi dalle elezioni presidenziali a Teheran - previste per la primavera del 2005 -, insomma, i poteri forti dell'Iran stanno facendo il possibile per diffondere il terrore tra le voci libere. E soprattutto sulla Rete.

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